Storia inaccettabile di ordinario abbandono - Rosolini 3 luglio 2021 - Copia
STORIA INACCETTABILE DI ORDINARIO ABBANDONO.
VIAGGIO NON ORGANIZZATO NEI PRONTO SOCCORSO.
di Nino Savarino
Rosolini 3 luglio 2021
Arriviamo in ambulanza al pronto soccorso dell’ospedale intorno alle undici, per lasciare un signore che necessitava di essere ricoverato su ordine del proprio medico.
Il primo step è quello del test anticovid. Il signore risulta negativo.
A questo punto è consentito l’ingresso nell’area del pronto soccorso.
Un infermiere, almeno credo, ci dice che non ci sono letti, barelle o sedie a rotelle disponibili e quindi siamo costretti a lasciare il paziente in ambulanza in attesa che si liberi qualche posto.
Passa circa un’ora senza che nulla si muove: il mezzo di soccorso è costretto a stazionare nelle vicinanze del pronto soccorso, con il motore acceso per mantenere attiva l’aria condizionata del vano sanitario. Fuori ci sono 42 gradi.
Il mio compagno di equipaggio va più volte a cercare una soluzione, purtroppo senza successo.
Commentiamo che queste lunghe ed estenuanti soste tolgono fra l'altro ambulanze al territorio.
Finalmente ci dicono che si è liberata una sedia a rotelle.
La prendiamo e, con non poche difficoltà, vi facciamo sedere il paziente che accompagniamo dentro il presidio di emergenza.
Entrare nel pronto soccorso è avvilente. Mi sento triste, amareggiato, preoccupato e arrabbiato.
Non è questa certamente la prima volta che entro in un pronto soccorso, ma probabilmente per il fatto di essere rimasto molto più tempo nella struttura ho più tempo per osservare meglio, per capire, per interrogarmi e per sorprendermi.
Gli ammalati sono in ogni dove: nei letti, nelle barelle, nelle sedie.
Alcuni sono anziani soli che fissano il tetto con occhi smarriti. Una signora su una sedia a rotelle timidamente chiede ad una infermiera: “Mi scusi, mi sa dire quando sarà il mio turno?”.
Il suo turno: che parola strana!
La risposta è quasi scontata: “Non lo sappiamo”.
Per un malato il non sapere, il non essere preso in considerazione, il non conoscere quando qualcuno lo visiterà o deciderà del suo destino è un dramma che si aggiunge al dramma.
Se poi si pone mente al fatto che nessuno dei familiari, a motivo di questo dannato virus, può essergli vicino per accudirlo, rassicurarlo, consolarlo, allora siamo davvero messi male.
Il personale medico, infermieristico e volontario, fa il massimo e il proprio meglio e anche molto di più. Non basta, però.
La struttura è oggettivamente inadeguata e il personale decisamente sotto organico.
Le porte scorrevoli che immettono nelle sale mediche dell’emergenza sono chiuse da tempo: certamente lì dentro staranno lavorando a casi più seri. Non lo so: ma mi immagino lo stato d’animo dei dottori che devono stabilizzare una persona sapendo che molte altre aspettano il loro intervento.
Gli occhi di quegli ammalati non li scorderò. Mi si sono impressi nella mente. Vado via ancor più triste e amareggiato, ma anche con tanta preoccupazione e con molta rabbia in più.
E se al posto loro ci fossi io? O un mio amico? O un mio parente?
Appena giunto in sede, un volontario di un'altra Misericordia mi racconta la sua esperienza.
Il pomeriggio di qualche giorno prima, il 118 aveva accompagnato un extracomunitario con febbre alta e dolori addominali all’ospedale. La mattina dopo era andato nello stesso ospedale per fare un servizio ed entrato in pronto soccorso aveva trovato il suo amico extracomunitario seduto su una sedia rotelle, occhi spenti e capo abbassato.
Gli aveva detto che era lì seduto dal giorno prima. Gli avevano dato medicine e fatto flebo, ma di essere ricoverato in reparto o rimandato a casa non se ne parlava. Aveva passato tutta la notta su quella sedia a rotelle.
Assurdo: questo è inaccettabile. Non è umano. Non è dignitoso. Non è degno di una Nazione come la nostra.
Mi ribello a tutto ciò: perché riguarda i più poveri, i più indifesi, quelli che “non hanno santi in paradiso” (si dice così?).
Tutto questo non è accettabile nemmeno per il rispetto che è dovuto ai tanti medici, infermieri e volontari costretti a lavorare in condizioni di estrema precarietà e ai quali dobbiamo tanta riconoscenza.
Vi state chiedendo qual è questo pronto soccorso?
Non ha importanza sapere quale, perché può essere quello vicino a noi, come quello del centro o alta Italia.
In cuor mio spererei che queste fossero situazioni limite e isolate. Ma non è così.
Mi chiedo cosa dobbiamo fare. Sinceramente non lo so.
So però che questo andazzo non può e non deve continuare.
Intanto sto raccontando questa storia, sperando di suscitare l’indignazione di qualcuno e di fare opinione comune.